lunedì 20 gennaio 2014

da "Cioè" di Luca Goldoni - Mondadori 1977

La minorenne. Una volta i bambini mi infastidivano o al massimo mi lasciavano indifferente. Se proprio ero obbligato dalle circostanze a rivolger loro la parola, non  andavo più in là di “cosa farai da grande?”. Una volta un bambino mi diede una lezione e mi rispose: e tu cosa farai da piccolo? Allora mi accorsi che anche i bambini ogni tanto si scocciano e, quando si scocciano, possono diventare pericolosi, per esempio a chi gli chiede vuoi più bene al papà o alla mamma? Potrebbero rispondere: e tu vuoi più bene a tua moglie o alla signorina Patrizia?
I miei rapporti coi bambini erano dunque ridotti all’essenziale. Quando nacque mio figlio, ovviamente gli volevo molto bene, però non ero capace di fare il cagnone sul tappeto e neppure di catapultarlo per aria gridando vola vola vola. Essendo completamente privo di fantasia, non ero nemmeno in grado di raccontargli delle favole decenti. Una volta ci provai, lui mi stette ad ascoltare e poi mi chiese: e allora? Allora è finita, gli dissi.
Sono stato un padre un po’ snaturato, più che divertire mio figlio cercavo di divertirmi io, facendo degli esperimenti che avrebbero interessato Pavlov. Pensando che le frasi utili se le imparava per conto suo, cominciai ad insegnargli dei vocaboli assolutamente superflui. A tre anni diceva correttamente “sotto un certo profilo”. Quando ne aveva quattro, i parenti venivano da lontano per sentirgli dire che spero, promitto e juro reggono l’infinito futuro.
Guardavo con ammirazione le signore che si facevano i complimenti per i rispettivi figli, pigliandoseli in braccio, sbaciucchiandoli, intrattenendoli con bamboleggianti discorsi che avevano la elle al posto della erre. Io, se me li mettevano in braccio, li reggevo come pile di piatti. Una volta, per darmi un contegno, chiesi “ti piace andare a scuola?”, suscitando scandalo perché il piccolo aveva quattro anni e mezzo.
Poi, col passar del tempo, sono maturato dal punto di vista paterno e mi sono lasciato attrarre dalla psicologia infantile in genere: ho scoperto che spesso è meno noioso conversare con un seienne che con un quarantenne. Sono arrivato al punto che mi intenerisco. Chissà in che abissi di commozione sprofonderò quando sarò nonno.
Bene, mi accorgo di essere arrivato troppo tardi a capire il fascino dell’infanzia. Quest’estate ero sul molo, guardavo la mia barchetta ormeggiata e consideravo che non le avevo ancora dato un nome. Stavo pensando che forse l’avrei battezzata “Noan” o “Mogadon”, perché la barca a vela per me è un tranquillante, quando mi accorsi che sul molo c’era una bimbetta bionda con gli occhi sgranati. Le feci un complimento e le chiesi cosa faceva lì tutta sola. Disse che guardava le barche perché le piacevano molto. Allora le chiesi se le piacevano quelle con le vele o quelle con tutte le vetrate e le tende e le poltroncine per prendere il tè. Disse che le piacevano di più quelle con le vele perché erano più facili da disegnare, basta fare un triangolo. Quelle altre con le poltroncine e le verande invece sembrano delle case. Allora le chiesi se le sarebbe piaciuto salire su una barca con le vele, ma subito mi trattenni. C’era qualcuno che ci osservava.
Un uomo che intrattiene una bambina, oggi, è guardato con sospetto. Ero uno sconosciuto da cui non bisogna accettare la caramella. Immaginiamoci cosa si sarebbe pensato se l’avessi invitata sulla mia barca. Salutai la bambina bionda e me ne andai in fretta.

Proprio quando scompare il tabù del sesso, ingigantisce il tabù dell’infanzia. Fra rapimenti e sevizie, non si è più disposti a credere che un bambino attiri un uomo per motivi confessabili o addirittura meritori e quindi è prudente rinunciare all’avventura più magica.
Fra le tante cose difficili della vita c’è quella di riuscire a comportarsi in modo lecito senza destare sospetti. Se entro in libreria, cerco di non avere già un libro sottobraccio, perché mi sentirei osservato: c’è tanta gente che esce dalla libreria con libri che non paga.
Se un lunedì non mi sento bene, evito di presentare certificato medico e lavoro lo stesso perché il lunedì è ormai, per definizione, il giorno in cui tutti stanno poco bene per allungare il week-end e mi secca essere coinvolto in questa usanza.
Una volta venivo dalla Svizzera e un doganiere mi chiese se non avevo nulla da dichiarare. Gli risposi: nulla. Lui insistette: proprio nulla, neppure una tavoletta di cioccolato? Le ho detto nulla, ribadii. Lei mi vuol far credere che va in Svizzera, replicò, e non si compra neanche una stecca di sigarette; una stecca la può portare ma non deve fare il furbo a rispondermi nulla. Allora scesi dalla macchina e gli dissi: esigo che lei smonti la mia macchina per cercare la tavoletta di cioccolato e la stecca; se no, la denuncio al suo ministero.
E’ difficile, dicevo, comportarsi in modo lecito senza destare sospetti. Il mio rancore verso i disonesti non dipende solo dal fatto che ci danneggiano materialmente. Ma che ci rendono complicata anche la nostra esistenza da onesti. I criminali o i deviati che rubano bambini non colpiscono soltanto le loro vittime ma danneggiano tutti noi che dobbiamo rinunciare alle azioni pulite perché loro le hanno sporcate.
Scusami bambina bionda, se non ti ho mostrato la mia barca con le vele che si disegna come un triangolo.

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